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schiatte, romana e germanica, un popolo solo. Quelle, rivolgendosi a Carlomagno per il nome d’imperio romano ch’ei seppe troppo bene usare a suo pro, diedero origine a siffatta spuria e infausta restaurazione. Poscia, al tempo della libertà, dei Comuni e delle Parti, quelle furono cheesagerarono quinci e quindi Guelfi e Ghibellini: i Guelfi di Firenze, di Venezia, e forse di altre città e d’altri stati minori e posteriori, con la vana speranza d’arrivare ai destini di Roma antica; i Ghibellini, con quell’altro sogno di monarchia universale, qui, non che confessato, ma professato da Dante. Cittadino di città che pretendeva origine romana, pretendèntevi egli, studioso di cose romane, si lasciò trarre anch’egli all’allettamento di que’ gran nomi, di quelle grandi memorie: le quali, certo, si vogliono venerare, ma non mai tentar di risuscitare; chè, in qualunque modo si tenti, è stoltezza nociva. Di nuovo: i sogni sviano dalla realtà, e tanto più quanto più belli.

Il terzo libro tratta della dipendenza immediata da Dio, della monarchia universale o imperio romano, e della indipendenza di esso dal Papa. Incomincia l’autore a porre il principio,