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alla pienezza dei tempi, cioè fino alla nascita di Cristo sotto Augusto; ma sì allora, e d’allora in poi1. Ma notisi un temperamento di tal sistema, che corrisponde a quello che notammo nella epistola ad Arrigo: la monarchia universale non esclude le leggi municipali (ed ecco il guelfo, ecco il cittadino italiano), non i regni, non gli usi dei climi diversi2. Ma l’autore tralasciò di additarci i mezzi di far concordare queste due contrarie esistenze; a quel modo appunto, che un altro grande scrittore, ma utopista anch’egli de’ nostri dì, tralasciò d’accennarci la possibilità della concordanza del governo tribunizio da lui proposto, con altre forme governatotive pur da lui lodate.
Più strano forse che non il primo, è il secondo libro. Il diritto d’imperio universale del popolo romano è provato con un gran sillogismo, che comprende quasi tutto il trattato, e corre così: 1° il diritto o jus non è altro che il volere di Dio, identico con ciò ch’è voluto da Dio3. 2° Ma Dio volle l’imperio del popolo romano, poichè questo fu il più nobile e il più virtuoso4; poichè