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ANNI 1306-1308 | 191 |
di far sè stesso protagonista della propria poesia, è superbo senza dubbio; nè perdonasi se non ai sommi, e per le bellezze ch’ei ne facciano derivare. Ma perdonatolo a Dante (e si perdona anche a Byron e Lamartine e tanti altri) era conveniente che, prima d’incominciare, ei dicesse della sua vita anteriore, dell’occasione della sua visione; e convenientissimo che, come fecer quegli altri poi, non direttamente, ma nell’ombra e sotto il velo delle allegorie ei ne dicesse.
Adunque, dice Dante che nel mezzo di sua vita ai 35 anni, quanti n’aveva appunto nell’aprile dell’anno del Giubileo 1300, ei si trovò per una selva oscura, selvaggia, ed aspra e forte; e questa, al senso allegorico morale, certo è la selva de’ vizi umani. Ma certo è pure Firenze ch’ei chiama altrove trista selva, chiamando sè stesso pianta di essa, e selva pure altrove il regno di Francia; ondechè vedesi, che selva in generale ei chiamava il mondo di quaggiù, i regni, le città; e selva selvaggia Firenze perchè allora nel 1300 ella era in mano alla parte selvaggia de’ Bianchi. La selva, dunque, è selva