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la verità più ricca che niuna immaginazione, la quale non potrebbe mai fingere tal prova, tal frutto d’amore come è il divino Poema. Quindi, certo fra le tante guastature, appiccature e diminuzioni fatte a questo, niuna è che desti all’ira, e debba determinatamente scartarsi da chiunque lo voglia intendere e bearsene, come quel continuo, talor falso e quasi sempre esagerato far sottentrare a Beatrice vera e viva in cielo, or la teologia, or la filosofia, or l’Italia, o che so io? Di queste tre allegorie prestese, le due ultime sono false assolutamente; e la prima non fa che appressarsi alla vera, non potendo Dante sotto il nome Beatrice che spazia per tutto il cielo, e di cui egli canta in tutto il Poema, aver velata la teologia, ch’egli colloca determinatamente e quasi confina al quinto cielo, e di che tratta espressamente nè Canti dal V al XXIV del Paradiso. Se vogliamo legger Dante secondo la intenzione di lui, prima d’ogni senso allegorico noi dobbiamo intendere il litterale; e così ogni volta che troviamo Beatrice, intendere la Beatrice vera, la gentil fanciulla de’ Portinari, la perduta donna di Dante. Ma è vero che al senso