Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
E compiuto questo primo terzo di sua grand’opera, deliberò Dante partirsi non pur di Lunigiana, ma d’intorno a Firenze oramai, per lui non più sperata; d’Italia, da lui già tanto percorsa, che n’era o se ne credeva avvilito agli occhi degli Italiani. Erano le condizioni da parte ghibellina poco men che disperate per la mala riuscita dell’ultima congiura di messer Corso e d’Uguccione, della quale Dante, amico del secondo, parente del primo, fu probabilmente almeno conscio. La morte dell’uno, la ritirata dell’altro alla sua podesteria d’Arezzo, furono quelle probabilmente, che spegnendo del tutto le speranze del fuoruscito, lo spinsero a questo nuovo, ed a sè stesso aggravato, esilio oltramontano1. Aggiungasi che nell’imprender il Purgatorio da cui incomincia la parte teologica del poema, sentì il poeta la necessità di nuovi studi di tale scienza non mai o non bene fatti fin da allora da
- ↑ Ferretto Vicentino, Rer. It. IX, p. 979, attribuendo l’esilio di Dante alla morte di messer Corso, fa un errore che ha pur qualche parte di verità, e mostra ciò che ne dissero i lontani e meno informati. Non il primo sforzato esilio da Firenze, ma il secondo volontario dall’Italia fu effetto probabile della morte di messer Corso.