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vi diventi principale, in essa parte si restrigne naturalmente l’autorità della lingua. Così avvenne della lingua italiana antica, regolata in Roma dalla urbanità, cioè dal costume di essa città; così poi delle lingue moderne, spagnuola, francese ed inglese. All’incontro, nelle nazioni senza centro, diventa bensì principale nella lingua un dialetto (imperciocchè è impossibile che tutti vi contribuiscano per parti uguali); ma il principato di esso, non ajutato dalla centralità delle istituzioni civili, rimane di necessità meno certo fin da principio, e disputato poi continuamente. Tal fu il caso della Grecia antica, tale quello dell’Italia moderna; che in ciò, come in tante altre cose, la varietà dei nostri destini ci fece soffrire, tra antichi e nuovi, tutti gli sperimenti, ci fece dare al mondo tutti gli esempi. Che il dialetto fiorentino non fosse il primo scritto nè in poesia nè in prosa, quando due fuochi della civiltà italiana erano la Corte siciliana di Federigo II e lo Studio di Bologna, già lo dicemmo; ma dicemmo poi, come passasse tal civiltà a Firenze, come vi si facesse più progressiva, come Dante fosse figliuolo non unico, non primogenito, ma principalissimo di