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Chè quanto il trattato di Dante è inferiore per rispetto d’arte, tanto senza dubbio è superiore per modestia d’esposizione al dialogo greco: vergogna se non dello scrittore, almeno dell’età e della civiltà in che fu scritto. Il primo Trattato, poi, non è altro che una prefazione, dove, con povera similitudine, dice che laverà le macchie che potessero apporsi alla sua imbandigione; e sono il parlare di sè e lo scrivere volgare. Bella è la sua difesa dell’usar la lingua volgare; ma guasta anche essa dalle arguzie, e non comparabile a ciò ch’ei ne scrisse sviluppando i suoi pensieri nel libro dell'Eloquio1. E pur bello e più importante, poi, al nostro argomento, è ciò che aggiugne all’altra sua scusa:"Ahi! piaciuto fosse al Dispensatore dell’universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata! chè nè altri contro me avria fallato, nè sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, d’esilio e di poverta. Poichè fu piacere della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gettarmi fuor del suo dolcissimo
- ↑ Cap. 5 e seg.