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questo, come d’ogni altro politico sperimento. L’Italia più lungamente libera o lottante, n’ha ventiquattro oramai, dai quali si potrebbe trarre una storia compiuta di ogni sorta d’esilii, una serie intiera d’esempi ed ammaestramenti a sopportarli. Abbiamo antichissimamente i Tarquinii cacciati per libidinosa tirannia e sforzantisi di rientrare collo straniero; poi Coriolano virtuosamente uscito, ed egli pure empiamente tornante, ma rattenuto da privata pietà; poi il sublimo esilio, il sublime ritorno di Camillo, capo dei fuorusciti contro lo straniero, salvator della patria, creatore della grandezza di lei in Italia, e detto così dai Romani secondo fondatore di Roma. Abbiamo quindi fino al fine delle repubblica quasi tanti esilii quanti uomini grandi, invidiati gli uni dalla plebe, gli altri da’ patrizi, e fra gli ultimi Cicerone; e finalmente agli inizi dell’impero gli esilii per brighe ed invidie di palazzo, d’un Ovidio, un Tiberio, un Germanico. Cessata ogni libertà, ogni lotta, cessan gli esilii; parendo a que’ tiranni la morte, se non più crudele, almen più pronto ed irrevocable supplizio. Durante la barbarie, non essendo preferibile