Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
sec. xii, xiii | 23 |
che la misera Italia, sorta alle virtù cittadine e private nelle virtuose lotte del secolo XII, cadeva ora nei vizi cittadini e privati tra le viziose del XIII. Nè sia chi ne accusi la sorgente civiltà. Obsoleto, e direi quasi pagano modo di pensare: credere inevitabil compagna della civiltà la corruzione, e predestinati noi ad essere alternatamente barbari o corrotti. Tal fosse o no la necessità della civiltà antica, tal non può essere nè è della Cristiana. E senza parlar d’altri secoli, non fu nel XIII la civiltà quella, che corruppe; ma fu corrotta essa con ogni virtù dalla incompiuta indipendenza.
E siffatta differenza di virtù tra i due secoli XII e XIII, dimostrata da tutti i fatti della storia, e notata dagli storici che si venivano dirozzando, è descritta poi e vituperata principalmente in tutto il poema di Dante; tanto che se non fosse questo la più magnifica tra le poesie delle lettere risorte, ei sarebbe ancora il più importante tra i documenti della nostra storia moderna. Tra i molti luoghi di Dante, che accennano a tal mutazione, è solenne quello ove dice: