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il quale avea molti adversari, e stava in corte con accuse e con piati; e avendo processi contro, e temendo esser punito, fu tanto scaltrito con suoi seguaci, che egli spezzò gli armari, e stracciò gli atti, per modo che mai non si trovarono. Molti feciono di strane cose in quel furore. Il Podestà e la sua famiglia fu in gran fortuna; il quale avea menata seco la donna, la quale era in Lombardia assai pregiata, e di grande bellezza. La quale col suo marito sentendo le grida del popolo, chiamavano la morte, fuggendo per le case vicine, ove trovarono soccorso, essendo nascosi e celati.
Il dì seguente si raunò il consiglio, e fu deliberato per onore della città, che le cose rubate si rendessono al Podestà, e che del suo salario fusse pagato: e cosi si fe, e partissi1". Anche il Villani reca i medesimi particolari, e v’aggiugne, che "messer Corso, per timore di sua persona, si fuggio di palagio, di tetto in tetto, che allora non era cosi murato"2.
Valsersi, quindi, di siffatta occasione i nemici