in sè l’ingegno, le virtù, i vizi, le fortune della patria. Egli ad un tempo uomo d’azioni e di lettere, come furono i migliori
nostri; egli uomo di parte; egli esule, ramingo, povero, traente dall’avversità nuove forze e nuova gloria; egli portato dalle ardenti passioni meridionali fuori di quella moderazione che era nella sua altissima mente; egli, più che da niun altro pensiero, accompagnato lungo tutta la vita sua dall’amore; egli in somma l’Italiano più italiano che sia stato mai. S’aggiugne, che l’età di Dante è, rispetto all’insegnamento morale, la più importante forse della storia d’Italia; quella in che si passò dalle brevi virtù ai lunghi vizi repubblicani. E s’aggiugne, che colle opere e collo scritto ei tentò di rattener la patria in su quel precipizio; e che cadutovi egli stesso più o meno, rimase pure in tutto lo scrittore più virtuoso che abbiamo; ond’è, che il nome di Dante tanto più risplendette sempre tra le generazioni successive, quanto più elle tornarono a virtù; e che non ultima fra le ragioni di patrie speranze, è il veder redivivo il culto e lo studio di lui. Questi furono i pensieri che mi fecero prendere amore