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studiata pure in latino, vedremo esempi nelle lettere di Dante, "tutte in latino con alto dittato, et con eccellenti sententie et autoritadi, le quali furono molto commendate da’ savi intenditori1". Così ci dice il Villani contemporaneo; ma noi, che abbiamo le lettere citate, le veggiamo appena simili alle reliquie degli ultimi retori Romani, o a quelle di Cassiodoro e de’ primi tempi barbari; e così troppo dissimili dal bello stile volgare usato, anche in prosa, da Dante. Più facilmente crederemo a ciò che pur ci dice il Villani, che Dante fu "rettorico perfetto, tanto in dittare e versificare, che in ringhiera parlare"; poiché questo, senza dubbio, il faceva in volgare2. E così vedesi in Dante quella differenza tra gli studi morti e i vivi, tra la rettorica studiata e l’eloquenza imparata dall’ uso, che si ritrova poi in Petrarca, in Boccaccio, e in tutti gli altri uomini, anzi nei fatti stessi di quei tempi. Imperciocché eloquenti, cioè persuaditori con ragioni in qualunque