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or diremmo edizione, delle proprie poesie; e che egli, come risulta del resto da ogni memoria, n’ebbe fin d’allora nome di uno fra gli ottimi, se non forse di ottimo poeta di sua età. E tal certo il possiamo dir noi ; e tal pare ch’ egli tenesse sè stesso.
Imperciocchè, in un altro luogo del Purgatorio, dove sono puniti i superbi, ei riconosce fra essi Oderisi da Gubbio, uno di que’ miniatori di codici ch’oggi ancora s’ammirano.
O, dissi lui, non se’ tu Oderisi
L’onor d’Agobbio, e l’onor di quell’arte
Ch’alluminare è chiamata in Parisi?
Frate, diss’egli, più ridon le carte
Che pennelleggia Franco Bolognese:
L’onore è tutto or suo , e mio in parte
Ben non sare’ io stato si cortese
Mentre ch’io vissi, per lo gran disio
Dell’eccellenza, ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio:
Ed ancor non sarei qui, se non fosse
Che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
O vanagloria dell’umane posse,