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ve, e tanto filosofo. Ma gli stessi rinomati filosofi, non che gli austeri teologi non poterono astenersi della naturai bramosia di gloria per una certa dolcezza incredibile, che, come dicono, ella c’inspira, contuttoché molle cose ne’ loro libri sul dispregio de la medesima abbiano scritto. Per cotal desio di gloria dunque a noi connaturale, ond’era il nostro poeta più di ogni altro acceso, come mi credo, aniò la poesia. Conciossiachè i buoni poeti in quelV epoca erano ben pochi, e men de’ filosofi, de’ mattematici, infine dei teologi; il che dal principio del mondo infino a dì nosiri, è certo, così essere avvenuto; mentre i valenti poeti, e gli oratori mai sempre pochissimi furono. Insino allora erano ancora soliti i poeti, ed t Cesari coronarsi di alloro, secondo l’antico costume dei Greci, e dei Romani.
De la laurea, di che si parla, essere lui stato cupidissimo, non solo ei non. lo inforsa, ma bensì in più luoghi dei suoi scritti apertamente, e reiterate volte il contesta; perciocché di certo non immerita men te gli sarebbe avvenuto, essergli cinte di alloro le tempia, se mai dall’esilio fosse staio richiamato.
Ma lungi dalla patria stando, la pur troppo meritala laurea, che ardentemente ambiva, secondo mio parere, trascurò prendersi. Nella poesia quanto ei si vaglia, crederei, esser più agevole ognun per sé giudicarlo, che poterlo ben con parole esprimere.
Questo sommo poeta il primo a nuova luce riportò la poesia, già da quasi nove cento anni spenta, od almen sopita; c giacente e prostrata si come