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que da tate indegnazione, un certo Carlo de* Reali di Francia mandò in Fiorenza; il qudle si per venerazione de) sommo Pontefice, che per riverenza del nome Francese benignamente nella città accolto , assai non lasciò scorrere di tempo, che rivocò dallo esilio i Neri; ed i Bianchi mandò fuori della città per una certa relazione di Messer Pietro Ferranti suo barone; giacché qnesti asseriva, tre dei Bianchi aver da lui a viva istanza richiesto, che si con Carlo adoperasse, da far che la loro parte rimanesse superiore nella città; se ciò facesse, diceva, aver essi promesso di consegnare Prato ffrilIJ *D lui po.tere. Le lèttere di siffatta postulazione ei mostrava munite dei suggelli dei pretensori, le quali con alcune altre pubbliche scritte ancor di presente nel Palagio si osservano. In questa relegazion dei Bianchi, Dante, comecché fosse stato spedito ambasciadore al som pio Pontefice per la civile concordia, pure per gì’ infausti comizi!

del suo priorato, siccome egli stesso in alcun luogo narra, di esilio fu dannato per iniquisaissima legge, colla quale si prescrivea, che il Pretore urbano i falli nel Priorato innanzi commessi, contuttoché preceduta ne fosse assoluzione, fòsse tenuto prenderne conoscenza, e punirli* Per co tal legge dunque Dante citato., e non comparso, ad esilio, e proscrizione iniquamente vieii condannato fix). Perchè la plebe istessa ansiosa di novità pochi dì appresso corse alle, case de’ testé relegati con animo di porle a sacco. Quindi le loro abi-