Pagina:Vita di Dante, Petrarca e Boccaccio.djvu/29


17

che tempo il combattere, incerta la vittoria (111). Gli Aretini cavalieri frementi in vero nel primo empito contro le schiere equestri dei Fiorentini, a tal segno gli rincalzarono, che astretti a indietreggiare, si rafforzarono poi tutt’in un corpo coi pedoni. E questa unione colla fanteria non solo immegliò pei Fiorentini l’aspetto de la pugna, ma bensì fe' rimaner vinti gli Aretini, che di fuga inseguivano i nostri, dietro lisciata per gran distanza la loro padestre schiera; perlocchè indarno cercando subito a quella riunirsi, in niun conto più poterono superare. Di tal maniera i nostri come trionfanti tornarono in patria, proclamando vittoria su' nemici sbarattati e rotti.

Frattanto la pulzella, che Dante unicamente amava da prematura morte vien rapita; ed egli di florida età, è inesprimibile, quanto se ne fosse accorato; perciocché lungamente, e spesso in lacrime ruppe, in urli, in lamenti, e sospiri, più che ad uomo, che sì grande esser dovea, sembrasse dicevole; e si racconta, essersi tanto scosso per veemenza di dolore, che in quei giorni di lutto poco abbia mangiato, e poco anche dormito. Indi fatto scarno, malsano addiveniva; perocché in niun conto avean giovato l'esortazioni, ed i conforti degli amici, e dei consanguinei, che anzi vieppiù ne prendea motivo di attristarsene. Per molti mesi dunque sempre più acremente travagliato il suo cuore, non andò guari finalmente, che più docile cominciò ad aprir gli orecchi a’ confòrti


3