agli altri di che largheggiare. Il solo Petrarca dunque di questa grande, e quasi divina prerogativa adorno, primeggiò nell’una e nell’altra maniera di dire; onde in tanta onoranza venne presso tutti, che non più Francesco Petraca, ma Francesco Petrarca, amplificato il nome, dovunque si appellasse. I popoli un po’ più colti fra tutte le genti sembravano anco il nome di lui venerare. Il perchè gli Aretini, saputo ch’ei da Roma, ov’era stato a cagion del giubileo, movea verso Arezzo, per rivedere la cara sua terra natale, gli corsero incontro a calca avanti le mura della città con tanta universale allegrezza, che più non avrebbe potuto avvenire, siccom’ei in una delle sue lettere rammemora, per un Re, od un gran Principe. I Fiorentini benanche, i quali avean già relegato Petracca di lui genitore, rivocata la paterna condanna della relegazione, volentieri condonarono al figlio, uomo sì grande, e raro, tutte le magagne del padre; del qual benefizio tanto, e sì peculiare verso di sè, grazie rendendo al popolo di Firenze, una lettera di laudi, e ringraziamenti pienissima ne scrive (iv). Inoltre illustri Principi indotti dall’ammirevole, e quasi incredibile fama delle sue virtù, sì riguardavano la persona di lui, che fra loro per averselo, quasi facevano a gara. Dappoichè il sommo Pontefice soventi volte per lettere chiamollo presso la santa Sede, promessigli spontaneamente alti gradi di dignità, se vi fosse venuto: chè quantunque la prima tonsura, come