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con la cura, che ò potuto maggiore, attenermi al senso delle parole, e non a le parole. Conciossiachè sogliono di leggieri condonarsi al traduttore le metamorfosi, al dir di un moderno retore, purché egli conservi al pensiero il medesimo corpo, e la medesima vita. Così non ho servilmente tradotto, nè messo in dimenticanza lo avviso di Fiacco, che scrivea a’ Pisoni: Nec verbum verbo curabis recidere fidus.....Interpres. Mi lusingo del pari, non aver dato in fallo nel determinare la relazione di alcuna delle latine espressioni; il che, se fosse accaduto, potrebbesi, non a torto escusare per la deficienza, che àvvi nel manoscritto, di quasi tutti i segni ortografici. Certo che con maggior sicuranza sarei andato, e men di fatica, se avessi potuto riscontrare lo stesso ms: pubblicato dal de-Meo; ne avrei tutte le diversità nella leggenda rilevato, non che gli errori più spacciatamente corretto. Ma che fare? se molto di quel che abbisogna, non trovasi in queste nostre monche biblioteche? Altri potrà assumerne l’impegno; ed io gliene saprei grado, se rendessemi avvertitoci quanto per me stesso non mi è venuto fatto rinvenire. Ti prego in fine, amico lettore, che mi sii largo di cortesia, e compatimento.