gese e il mangime era abbondante; perciò i puledri vi restarono a pascolarvi per molto tempo. Frattanto Jeli s’era fatto grande, ed anche Mara doveva esser cresciuta, pensava egli sovente, mentre suonava il suo zufolo; poi quando tornò a Tebidi dopo tanto tempo, spingendosi innanzi adagio adagio le giumente per i viottoli sdrucciolevoli della fontana dello zio Cosimo, andava cercando cogli occhi il ponticello del vallone, e il casolare nella valle del Iacitano, e il tetto delle «case grandi», su cui svolazzavano sempre i colombi. Ma in quel tempo il padrone aveva licenziato Massaro Agrippino e tutta la famiglia di Mara stava sloggiando. Jeli trovò la ragazza la quale s’era fatta grandicella e belloccia alla porta del cortile, che teneva d’occhio la sua roba mentre la caricavano sulla carretta. Ora la stanza vuota sembrava più scura e affumicata del solito. La tavola, e il letto, e il cassettone, e le immagini della Vergine e di San Giovanni, e fino i chiodi per appendervi le zucche delle sementi ci avevano