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38 | jeli il pastore. |
merli che guardavano sbalorditi coi loro occhietti di pepe; i due fanciulli portavano spesso nel petto della camicia dei piccoli conigli allora stanati, quasi nudi, ma dalle lunghe orecchie diggià inquiete. Scorazzavano pei campi al seguito del branco dei cavalli, entrando nelle steppie dietro i mietitori, passo passo coll’armento, fermandosi ogni volta che una giumenta si formava a strappare una boccata d’erba. La sera, giunti al ponticello, se ne andavano l’uno di qua e l’altro di là, senza dirsi addio.
Così passarono tutta l’estate. Intanto il sole cominciava a tramontare dietro il poggio alla Croce, e i pettirossi gli andavano dietro verso la montagna, come imbruniva, seguendolo fra le macchie dei fichidindia. I grilli e le cicale non si udivano più, e in quell’ora per l’aria si spandeva come una gran malinconia.
In quel tempo arrivò al casolare di Jeli suo padre, il vaccaro, che aveva preso la malaria a Ragoleti, e non poteva nemmen reggersi sull’asino