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188 guerra di santi.

dinanzi ai campi «bruciati» e le spighe chinano il capo proprio come se morissero.

— San Pasquale maledetto! — gridava Nino sputando in aria, e correndo come un pazzo pel seminato. — M’avete rovinato, San Pasquale! Non mi avete lasciato altro che la falce per tagliarmi il collo!

Nel quartiere alto era una desolazione, una di quelle annate lunghe in cui la fame comincia a giugno, e le donne stanno sugli usci, spettinate e senza far nulla, coll’occhio fisso. La gnà Saridda, all’udire che si vendeva in piazza la mula di compare Nino onde pagare il fitto della terra che non aveva dato nulla, si sentì sbollire la collera in un attimo, e mandò in fretta e in furia suo fratello Turi, con quei soldi che avevano da parte, per aiutarlo.

Nino era in un canto della piazza, cogli occhi astratti e le mani in tasca, mentre gli vendevano la mula tutta in fronzoli e colla cavezza nuova.

— Non voglio nulla, ei rispose torvo. — Le