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160 l’amante di gramigna.

col telegrafo. Gramigna sgusciava loro di mano, e rispondeva a schioppettate se gli camminavano un po’ troppo sulle calcagna. Nelle campagne, nei villaggi, per le fattorie, sotto le frasche delle osterie, nei luoghi di ritrovo, non si parlava d’altro che di lui, di Gramigna, di quella caccia accanita, di quella fuga disperata; i cavalli dei carabinieri cascavano stanchi morti; i compagni d’armi si buttavano rifiniti per terra in tutte le stalle, le pattuglie dormivano all’impiedi; egli solo, Gramigna, non era stanco mai, non dormiva mai, fuggiva sempre, s’arrampicava sui precipizi, strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei fichidindia, sgattajolava come un lupo nel letto asciutto dei torrenti. Il principale argomento di ogni discorso, nei crocchi, davanti agli usci del villaggio, era la sete divorante che doveva soffrire il perseguitato, nella pianura immensa, arsa, sotto il sole di giugno. I fannulloni spalancavano gli occhi.

Peppa, una delle più belle ragazze di Licodia, doveva sposare in quel tempo compare Finu «can-