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BELLINI | 41 |
intima e fraterna a quell’anima armoniosa della manifestazioni recenti, le più lusinghiere, che la avessero riempito di gioja. Quanti furono in quei giorni insigni nelle Arti e nelle Scienze confusero le loro con le lagrime dei popoli, poi che quelle armonie erano svago necessario, bisogno voluto dai cuori, nenie che cullavano lo spirito ancora esaltato ed inasprito dalle armi del Bonaparte. Le città, cui un male inteso amor di patria tenea divise, ora riunite nel dolore della comune sventura obliavano il rancore e il disdegno1.
Che dire del suo Florimo atterrito e affranto dal dolore? Il vecchio Zingarelli, esclamando: «fossi morto io, l’Arte non avrebbe perduto nulla!», colle dirigere una sua Messa, eseguita da più di 300 cantori. La vetusta Chiesa di San Pietro a Majella parata a lutto, risplendeva di mille ceri; accoglieva i Ministri di Stato, il Conte di Siracusa, il Corpo diplomatico, il Collegio reale, tutte le Accademie, i più cospicui cittadini, gli amici, i compagni di Collegio. L’inconsolabile