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[CMA»] [CAPITOLO SECONDO]
PRATICA SULLA SCIENZA NUOVA
[«Il V. ebbe il pensiero di far seguire alla sua Scienza nuova una Pratica della Scienza nuova, e anzi nella prima redazione italiana dell’opera assegnava due «pratiche»: la una^nuova arte critica, da servire di fiaccola per distinguere il vero nella storia oscura e favolosa; 2a un’arte come diagnostica, per determinare i gradi di necessità o utilità delle cose umane e, come ultima conseguenza, il fine principale di essa Scienza, consistente nel conoscere i segni indubitati dello stato delle nazioni (SN^^, IV, i;. Arte critica e diagnostica che, chi ben consideri, confluivano in una sola: nella migliore conoscenza che, mercè i principii dal V. stabiliti, era dato ottenere circa la vita passata e presente delle nazioni.— Tale concetto è ripetuto e chiarito in altri luoghi del medesimo libro. Le scienze, discipline e arti, fin oggi svolte (dice il V.) concernono oggetti particolari; la Scienza nuova, che investiga i principii stessi dai quali escono tutte le discipline, è invece al caso di stabilire ràxui^,o stato di perfezione dell’intero complesso, e 1 gradi e gli estremi per i quali e dentro i quali l’umanità, come ogni altra cosa mortale, deve correre e terminare; cosicché si apprendono mercè quella Scienza le pratiche come una nazione, sorgendo, possa pervenire allo stato perfetto 0, decadendo da esso, possa sollevarvisi di nuovo. Lo stato di perfezione consisterebbe nel fermarsi le nazioni in certe massime cosi dimostrate per ragioni costanti come praticate coi costumi umani, nelle quali la ragione riposta dei filosofi desse la mano e sorreggesse la sapienza volgare delle nazioni, e in cotal guisa convenissero i più riputati delle accademie con tutti i sapienti delle repubbliche (i filosofi, cioè, e gli uomini di Stato); e la scienza delle divine e umane cose civili, ossia della religione e delle leggi, le quali sono una teologia e una morale comandata che si acquista per abiti, fosse assistita dalla scienza delle divine e delle umane cose naturali, che sono una teologia e una morale ragionata, che s’acquista coi raziocini; talché trarsi fuori di sì fatte massime sarebbe il vero errore o divagaraento, nonché di uomo, di fiera {SN^, I, 2). — La pratica della Scienza nuova, dunque, come si vede chiaro dal programma cosi tracciato, non era altro che il riassunto il duplicato della Scienza stessa, della quale metteva in rilievo i due capitali elementi: la sapienza spontanea e quella riflessa, il certo e il vero, e la necessità di tenere conto di entrambi» (Croce, mon. cit.. pp. 108-9). Le medesime idee il V. svolge ora in questo capitolo, aggiunto in CMA^, ma già soppresso in CAfA*. € Sarebbe, di certo, temerario pretendere di conoscere le ragioni per le quali il V., come aveva omesso nella Sì^’ le dichiarazioni circa la pratica che erano nella SN^, tralasciò nel ms. definitivo dell’ultima redazione anche il capitoletto sulla Pratica. Ma sarà lecito per lo meno congetturare che la ragione principale fosse nell’avvertita vacuità di quel capitoletto, il quale, promettendo una pratica, non la dava e finiva col confessare che o non si poteva dare o era stata già data con la teoria stessa» (Croce, pp. 110-lj].