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liv | introduzione dell’editore |
piere una vera instauratio magna in tutto lo scibile umano) nell’altro improprissimo di Principes de la Philosophie de l'histoire; non ultima forse tra le cause perchè il Vico sia stato e sia tuttora ritenuto semplicemente per un filosofo della storia (nell’accezione comune ed errata della parola). S’intende che lo storico francese fece ciò a fin di bene: per rendere, cioè, l’opera vichiana di più facile intelligenza e più accessibile al gran pubblico. Ma se l’effetto, diremo così, commerciale fu in apparenza raggiunto (in apparenza, perchè in sostanza, nella nuova veste datale dal Michelet, la Scienza nuova riesce ancora più oscura), filosoficamente e quindi anche letterariamente parlando, quello commesso dal traduttore francese resta sempre un mezzo sacrilegio1. Giacché si può bene (si deve anzi), per fare intendere la Scienza nuova frantumarla a colpi di piccone, e coi frammenti risultanti da codesta demolizione, mettendovi di proprio assai cemento, ricostruire ex novo; ma non si può in alcun modo, lasciando intatta l’ossatura interna, dare dell’opera una semplice rielaborazione letteraria, anche quando (anzi allora più che mai) il rielaboratore sia un artista come Giulio Michelet.
Ormai la Scienza nuova era diventata di moda: pochi anni dopo (1830) essa penetrava anche in Inghilterra2 mer-
- ↑ Un certo scrupolo dovè provarne lo stesso Michelet, il quale cerca di giustificarsi aggiungendo: «Le jour n’est pus loin, sans doute, où, le nom de Vico ayant pris enfin la place qui lui est due, un intérèt historique s’étendra sur tout ce qu’il a écrit, et où ses erreurs ne pourront faire tort à sa gioire; mais ce temps n’est pas encore venu».
- ↑ Translation of the third book of Vico’s «Scienza nuova». — On the discovery of the true Homer [dalla versione francese del Michelet], in Henry Nelson Coleridge, Introduction to the shidy of the greeck classic poets, designed principally for the use of young persons at school and college [1a ediz., 1830], Third edition (London, John Murray, Albermalestreet, 1846, pp. 63-84.