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xxiv | introduzione dell'editore |
negl’incisi diventa così vorticosa che il Vico stesso si scorda donde ha cominciato, e pone un punto fermo senza conchiudere; ora (ed è il caso più frequente) non c’è né proposizione principale né incisi, ma una lunga sequela di proposizioni e di frasi che non hanno tra loro alcun rapporto sintattico, e a cui si deve dare il nome di «periodo» semplicemente perchè contraddistinte da una lettera maiuscola iniziale e da un punto fermo finale. — Tant pis pour la grammaire, — si dirà ripetendo per la millesima volta un detto che ormai comincia a diventare banale. Senza dubbio. Senonché il Vico (che per giunta era maestro di rettorica e talvolta anche di grammatica) non diceva così; e deliberato a voler dare a tutti i costi coesione sintattica a quei suoi periodi che non potevano averne perchè privi di coesione ideale, cercava di riparare all’intrinseco difetto con l’estrinseco rimedio di usare e abusare di particelle e di pronomi relativi. Ma Dio vi liberi dal mettere piede in quest’altro campo assai spinoso! Senza parlare dei tanti periodi in cui la parola «il quale» o «la quale», usata alternativamente come nominativo e come accusativo, ricorre sei o sette volte di fila; i «dunque», i «quindi», i «cosicché», i «ma», e specialmente i «che» e gli «onde», sono, in tutta l’opera, adoperati in modo così arbitrario e in significati così diversi, che il peggior consiglio che si potrebbe dare a uno scolare di ginnasio sarebbe per l’appunto quello di proporgli come testo di lingua la Scienza nuova.
Lo stesso si dica della punteggiatura. Il Vico, dissimile anche in questo dai suoi contemporanei, poneva una cura speciale nell’uso di ciascun segno d’interpunzione; e se era fedele all’uso del suo secolo di preporre una virgola a ogni «che» e a ogni «e», in tutto il resto era personalissimo. Ma quale punteggiatura! Punti fermi rari, e ce ne vorrebbero di molti; parentesi quasi mai, e il loro