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i. struttura esterna della «scienza nuova» | xix |
menti quelli della Scienza nuova in forma negativa e della seconda redazione della prima Scienza nuova, e tanto meno chi sa quanti altri brani che il Vico doveva sopprimere mentalmente, prima ancora di averli scritti.
Ma c’è di peggio. C’è che la fissazione per la perspicuità e la concisione ispirò al Vico la non felice idea di voler dare (di voler dare, si badi, non già di dare effettivamente) al suo libro la veste d’un’opera matematica, o meglio geometrica. Può sembrare strano, ma è così. Lui l'antimatematico per eccellenza, lui l’odiatore di Cartesio e del metodo matematico applicato alle scienze morali1, lui che si vantava di non essere mai andato oltre la quinta proposizione d’Euclide2, aveva poi la debolezza di voler presentare la sua opera methodo geometrica conscripta. L’idea di esibire prima degli assiomi, ossia verità indimostrabili che si presuppongono (le Degnità), indi dei teoremi che si dimostrano (i capitoli iniziali di ciascuna sezione), e in ultimo dei corollari che si ricavano dai medesimi teoremi, gli sorrideva. Gli pareva forse di raggiungere così quell’evidenza di dimostrazione che avrebbe conquiso alle sue teorie anche i più refrattari.
Per uno spirito dotato di minore potenza filosofica codesta fisima sarebbe stata rovinosa, in quanto avrebbe condotto al meccanizzamento della Scienza nuova. Pel Vico servi semplicemente ad accrescergli cento volte la fatica e a fargli rendere ancora meno chiara quell’opera in cui egli teneva tanto a riuscire perspicuo. Giacché se c’è libro in cui di vero metodo matematico non v’è nemmeno l’ombra, è per l’appunto la Scienza nuova. Metodo matematico importa infatti deduzione continua, un perenne sillogizzare dal principio alla fine; e il