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xvi introduzione dell'editore

non si limita a un semplice rimando, ma crede suo dovere di trascriverne con la maggiore scrupolosità l’integrale contenuto. E se si pensi che vi sono periodi in cui le Degnità che si richiamano l’una dopo l’altra pervengono al numero di quattro o cinque, si può ben immaginare quanto codesto sistema di citazioni, turbando l’armonia e l'economia dell’esposizione, contribuisca ad aumentare, anziché a diminuire, l’oscurezza.

La mania di perspicuità indusse il Vico a un terzo espediente; vale a dire alla costante abitudine da lui presa di sottolineare, e quindi di far stampare in «corsivo», tutte quelle parole o frasi su cui egli credeva di dover richiamare l’attenzione del lettore. Il rimedio, parcamente adoperato, non è, nella sua estrinsechezza, cattivo; ma il Vico (privo o quasi di quel che si dice senso del rilievo o della prospettiva) non era uomo da servirsene con moderazione. Tutto a lui pareva importante, e tutto quindi nervosamente sottolineava, e talvolta bisottolineava e finanche trisottolineava; giungendo per tal modo al grottesco risultato che ogni sua pagina di stampa ha più parole in «corsivo», in «maiuscoletto» e in «maiuscolo» che in carattere normale, e fa una tal guerra agli occhi del lettore e gli rende così complicata e fastidiosa la lettura, che questi finisce per imbrogliarsi anche dove il senso dello scritto per se stesso sarebbe chiarissimo.

Credette in ultimo il Vico che l’opera potesse riuscire di più facile intelligenza mercè illustrazioni grafiche, tavole sinottiche e simili. Da ciò l’allegorica e incomprensibile «dipintura» preposta al frontespizio della seconda Scienza nuova la cui lunga e inutile spiegazione, manco a farlo a posta, volendo condensare in quaranta pagine tutta la Scienza nuova, è un capolavoro d’oscurezza. Da ciò ancora la non meno inutile tavola cronologica con le relative annotazioni; le quali, non essendo