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che la plebe romana desidera la Legge delle XII tavole, con quel motto che l’erano gravi «ius latens, incertum et manus regia»; ed è la cagione della ritrosia ch’avevano i padri di dargliele, dicendo: «mores patrios servandos», «leges ferri non oportere», come riferisce Dionigi d’Alicarnasso1, che fu meglio informato che Tito Livio delle cose romane (perchè le scrisse istrutto delle notizie di Marco Terenzio Varrone, il qual fu acclamato «il dottissimo de’ romani»), e in questa circostanza è per diametro opposto a Livio, che narra2 intorno a ciò: «i nobili», per dirla con lui, «desideria plebis non aspernari». Onde per questa ed altre maggiori contrarietà osservate ne’ Principii del Diritto universale (a)3, essendo cotanto tra lor opposti i primi autori che scrissero di cotal favola da presso a cinquecento anni dopo, meglio sarà di non credere a niun degli due. Tanto più che ne’ medesimi tempi non la credettero né esso Varrone, il quale nella grande opera: Rerum divinarum et humanarum diede origini tutte natie del Lazio a tutte le cose divine ed umane d’essi Romani4; né Cicerone, il qual in presenza di Quinto Muzio Scevola, principe de’ giureconsulti della sua età, fa dire5 a Marco Crasso



    dirittura dell’«error di Pomponio», nell’asserire che la plebe «avesse desiderato» le XII Tavole, «per costringersi la libertà della mano regia a dover sempre ministrare, ove bisognava, le leggi non più nascoste incerte, ma certe e fisse nelle Tavole».

  1. Le parole riferite dal V. non si trovano in Dionigi. Qualcosa di simile questi dice nel lib. X, c. 3: «Οἰ,̔,, υ̒πατοι καὶ οἱ τῆς βουλῆς προεσῶτες, τους είσφέροντας καιυὰ πολιτεὺματα δημάρχους, καὶ κωλὺειν αξιοὺντας τὸν πάτριον τῆς πολιτείας κόσμον αῖτίους ἀπέφαινον τῆς ταραχῆς»;— e ibid., c. 4, in cui ricorda che consoli e senato protestarono «ὡς οὑκ ἐπιτρέψουσιν αυτοῖς [ai tribuni] νόμους εῖσηγεισθαι, καί τούτος ἀπροβουλεὺτους».
  2. Propriamente Liv., III, 31, dopo avere riferito che i tribuni della plebe proposero al senato che si creassero «communiter legum latores, et ex plebe et ex patribus», dice, sì: «Rem non adspernabantur Patres»,ma. soggiunge subito che costoro: «laturum legem neminem nisi ex patribus aiebant». D’altronde, i passi in cui Livio (al contrario di ciò che afferma il V.) accenna all’ostruzionismo dei patrizi contro la riforma che condusse alle XII Tavv., abbondano: cfr. III, 11, 14, 21, 25, 29.
  3. (a) [CMA3] e più crivellate nel Ragionamento in fine di questi libri, essendo, ecc.
  4. Si vegga più su, p. 68.
  5. De orat., I, 44. Una minuta illustrazione del passo dà il V. nel Ragionamento primo (che qui si aggiunge in Appendice), § 3.