Pagina:Vico - Autobiografia, carteggio e poesie varie, 1929 - BEIC 1962407.djvu/312

ristretto stampato (la «Sittopsi»), che spargerá per l’Italia e fuoriL’opera sento che mostri l’ingegno e l’erudizione dell’autore, ma insieme la sua stravaganza». E, comparsa la Sittopsi, soggiungeva (20 luglio) d’aver sentito ch’era «un lavoro imbrogliato e fantastico bene, come è il cervello * dell’autore, il quale aveva pensato «di cominciare dove gli altri vanno a finire» . Che sono le stesse critiche di molti napoletani ricordate dal V. nell’ Autobiografia (p. sgg). Al che il Bewvogllenti, anch’egli senia a\eT letto una sola riga vichiana, rispondeva rincarando la dose (Siena, 22 luglio): € Gl’ ingegni napolitani sono troppo sottili e daranno sempre in scoglio, ogni volta che le cose di pratica le vorranno riguardare col solo lume dell’ intelletto - , e perciò -non mi meraviglio punto se il Vico non riesca nel suo disegno». — Molto meglio informato, Pietro Metastasio, discorrendo del De con stanti a iurisprudentis in una lettera a Francesco de Aguirre (Napoli, 16 decembre 1721), diceva: «Opera á’nna pura lingua latina, di somma erudizione e cVun acume metafisico», quantunque, «comunemente», il libro, che si proponeva «di ridurre tutte le scienze e le nozioni dottrinali, non meno che i commerci e le leggi, ad un solo principio», fosse «ripreso per oscuretto». --Due anni dopo (30 ottobre 1723), il Marmi annunziava al Muratori che il V. lavorava «sopra un’opera che vuole intitolare Dubbi e desidèri intorno ai principi della teologia dei gentili»: titolo primitivo della dispersa Scienza nuova informa negativa, che sí rivela per tal modo precipuamente una polemica contro il celeberrimo De t /teologia gentili et p/tysiologia christiana del Voss.

7. Una visita del Bandiera al Vico.

Nel 1726, il letterato e oratoriano senese Giovan Nicola Bandiera (1695-1761) fu a Napoli, ove, attratto dalla fama del V. e con l’illusione, forse, di sentire dalla bocca di lui un caldo elogio del Bayle e della cultura francese, di cui esso Bandiera era entusiasta, si recò a fargli visita. E di questa, e della delusione provata nel sentir parlare il V., rese conto in una lettera (20 giugno 1726) al suo concittadino Uberto Benvoglienti, concepita cosi: «Ier mattina, con l’occasione di vedere la processione del Corpus Domini, stiedi quasi per tre ore da Giovan Battista de Vico. Mi pare che il forte di costui sia l’essere un buon umanista ed un buon filosofo. Parla con tanta affettazzione nella nostra favella che