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pato a legger paragrafi, mi ha dato l’agio di meditarla. Posso io avergliene piú grado di questo? che mi spiace non potergliele professare che in cotesta vostra solitudine, dove gridando dico che vorrei non aver lavorate tutte le altre mie deboli opere d’ ingegno, e che rimanesse di me questa sola; perché le altre erano state da me lavorate per avere io alcuna cattedra prima in questa universitá, ed ella, giudicandomene indegno, mi ha in un tacito modo comandato che io travagliassi questa sola, alla quale dovevano menarmi tutte le altre opere innanzi della mia vita. Sia per sempre lodata la Provedenza, che, quando agli infermi occhi mortali sembra ella tutta rigor di giustizia, allora piú che mai è impiegata in una somma benignitá ! Perché da quest’opera io mi sento avere vestito un nuovo uomo, e pruovo rintuzzati quegli stimoli di piú lamentarmi della mia avversa fortuna, e di piú inveire contro alla corrotta moda delle lettere, che mi ha fatto tale avversa fortuna, perché questa moda, questa fortuna mi hanno avvalorato ed assistito a lavorare quest’opera. Anzi (non sará per avventura egli vero, ma mi piace stimarlo vero) quest’opera mi ha informato di un certo spirito eroico, per lo quale non piú mi perturba alcuno timore della morte e sperimento l’animo non piú curante di parlare degli emoli. Finalmente mi ha fermato, come sopra un’alta adamantina ròcca, il giudizio di Dio, il quale fa giustizia alle opere d’ingegno con la stima de’ saggi, i quali, sempre e da per tutto, furono pochissimi: non giá uomini recitatori de’ libri altrui; non quei che marciscono le notti nella venere e ’l vino, o sono agitati da infeste meditazioni, come, con insidiare alla veritá ed alla virtú, debbano covrire le scempiezze o le ribalderie commesse nel di passato per seguitare di parere e dotti e buoni nel giorno appresso; non finalmente infingardi, che, stando tutti sicuri all’ombra della loro negghienza, anzi scorrendo sconosciuti nella densa notte de’ loro nomi, van latrocinando l’onor dovuto al merito degli uomini valorosi ed ardiscono in ogni modo di scannare l’altrui credito, benché, tra le tenebre della loro nera passione dell’invidia, avventino e profondino nelle loro propie viscere gli avvelenatissimi colpi.