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fatto piú volte la sua dimora in questa cittá, aspettando gli ordini della corte per qualche altro ministero. Mercé le grandi sue virtú e meriti tanto in risguardo del pubblico quanto del privato, egli è stato compianto universalmente; ed alcuni suoi amici, ottimati genovesi, gli hanno fatto porre sulla tomba l’epitafio che qui acchiudo e che per l’appunto mi fornisce l’occasione d’ importunarla con questa lettera. La quistione sta in sapere se «ordo populusque genuensis» significhi latinamente ed elegantemente «la nobiltá e il popolo genovese». Alcuni hanno preteso che «ordo», trovandosi solitario e da altro epiteto distintivo sprovveduto, non importi piú l’ordine dei nobili che di un altro genere di persone. L’autore all’ incontro pretende che, parlandosi di una repubblica di ottimati, «ordo» in compagnia di «populusque» non possa arrecare a una mente accorta altra idea che quella di nobiltá. Ma quello che piú d’ogni altra cosa il conferma nel suo sentimento si è l’autoritá dell’eccellentissimo espositore del ius universale, Giovan Battista del Vico, il quale nel suo stimabilissimo trattato De imiversi iuris uno principio et fine uno ben venti volte si serve della voce «ordo» in quella significanza, principalmente alla carta 123: «romana civitas erat ordo et plebs: ordo qui imperaret, plebs quae pareret».

Per vero dire, questa sola autoritá corroborata dalla ragione è bastata all’autore e a quei cavalieri che hanno fatto scolpire l’epitafio. Supplico ora umilmente Vostra Signoria di avvertirmi se io avessi preso abbaglio, per disingannarmi con la cortese sua risposta. E, baciandole riverentemente la mano, mi dedico d), ecc.

Genova, 11 maggio 1721.

(1) Cui, uti et amplissimi genuatibus patriciis, qui me eo suo preclarissimo iudicio exornarunt, per ipsum clarum virum Paullum Doriam gratias egi magnas et heic habeo maximas [V.].