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Il poco numero poi delle leggi regie, che ben poterono di Toscana passar in Roma, e ’l non sapere or noi di certo quali tra’ frammenti della legge delle dodici Tavole esse sieno, a distinzione di quelle che, portate di Grecia, ben dieci n’empirono, faceano non meno difficile e contrastata quest’altra impresa. Ripeterla finalmente fin dalla Ionia e dalla pitagorica scuola, egli non era investigare la filosofia antichissima dell’Italia, ma una piu novella di Grecia. Perché io da quelle poche memorie che ci giunsero de’ suoi placiti, che son pochissime ed oscurissime, la ripeto, si, da Pitagora, ma non la fo venire di Grecia, e la fo piú antica di quella di Grecia. Conciosiacosaché nel proemio di tutta l’opera (p. 126) arrecai forte conghiettura che in Italia fossero lettere molto piú antiche delle greche, a cagion che l’architettura toscana è la piú semplice dell’altre quattro restanti greche; e l’invenzioni tutte sui lor principi sono semplicissime, poi tratto tratto vanno adornandosi e componendo. Onde porto ferma opinione che, quando nell’Egitto fioriva quel grandissimo imperio, che si distendeva per quasi tutto l’Oriente e per l’Africa, del quale, se non fusse venuto in talento a Germanico (0 di andare a vedere le antichitá di quel paese, e tra esse le sue antichissime colonne, dove in sacri caratteri n’erano le magnifiche memorie scolpite, oggi noi non avressimo notizia alcuna. Il perché, verisimile, anzi necessaria cosa, egli è che gli egizi, signoreggiando tutto il mare interno, facilmente per le sue riviere avessero dedotto colonie, e cosi portato in Toscana la loro filosofia. E quivi essendo poi sorto un regno ben grande, e che diede il nome a tutto questo tratto di mar nostro, che bagna di Toscana fino a Reggio l’Italia, forza è che anche fussevisi diffusa la lingua, e di questa ne avessero piú preso i popoli, piú vicini, del Lazio. A questo aggiungesi quel che è certissimo, che la scienza augurale di Toscana vennesi in Roma; e tanto esser favoloso che Nunia fosse ito a scuola di Pitagora, quanto egli è vero che fu il fondatore della religione romana. (1 Tac., Ann., 11, 60.