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libricciuolo, abbia avuto l’autore in pensiero il darci anzi un saggio della sua metafisica, che la sua metafisica stessa; 3° che vi scorgiamo cose moltissime semplicemente proposte, le quali sembrano aver bisogno di prova. E a questi dubbi e’ risponde: i° che le locuzioni, fondamenti principali, anzi unici della sua metafisica, hanno appo i latini avuto i sentimenti che esso dice; 2° che la sua metafisica in quel libricciuolo è compiuta sopra tutta la sua idea; 3° che non vi manca nulla di prova. Tuttavia, s’è lecito il dire con libertá il suo sentimento a propria difesa, noi diciamo che il signor di Vico è in errore. Imperciocché non tre, ma una sola è la cosa che gli viene opposta da noi, ed è quella che in secondo luogo egli addusse: cioè che in quel suo libricciuolo condensi anzi un’idea di metafisica che una metafisica perfetta. E la ragione di ciò si è quello che ei fa terzo dubbio: perché quivi noi scorgiamo supporsi piú cose, le quali sembrano esser bisognose di prova. Quello poi, che esso chiama «primo dubbio», non è che una sposizione, o anzi parte della ragione medesima: desiderando noi spezialmente di veder provato che nell’antico linguaggio latino un medesimo fusse il senso di quelle dizioni «factum» e «veruni», «causa» e «.negocium», ecc. Torneremo a dire pertanto che «meritevolmente ci è paruto quel libricciuolo anzi un’idea di metafisica che una metafisica intiera e perfetta». E, per piú chiaramente provare una si fatta proposizione, v’aggiugneremo le seguenti ragioni: i° perché noi v’osserviamo cose non poche troppo brevemente accennate, le quali e’ converria trattare alquanto piú diffusamente; 2° perché vi sono cose alquanto oscure, che vorrebbon piu chiaramente esporsi; 3° perché sembra esservi cose puramente proposte, che per altro, essendo o mal note a’ suoi leggitori o disputate in tra’ filosofi, sembran richiedere qualche sorta di prova; 4° (il che però noi protestiamo non essere una ragione distínta da quella che s’è addotta in terzo luogo, ma una come