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  • fortuna»’, indi va conghietturando quali fossero i sentimenti

de’ filosofi antichi dell’Italia in riguardo della divinitá e dell’ordine ed esecuzione de’ suoi eterni decreti e consigli. Al qual capitolo l’autore aggiunge la conclusione di tutta l’opera (p. 191), che altro non è che una brevissima ricapitolazione delle cose dette di sopra con molto meno di brevitá. Onde non è maraviglia che noi una grandissima parte delle cose in questo libro sottilissimamente trattate, senza né pur accennarle, trasandate abbiamo; imperciocché il suo dotto autore pone affoltate, nonché in ogni pagina, quasiché in ogni linea speculazioni innumerabili con tal brevitá, che ’l volerle toccar tutte, comeché leggermente, e’ sarebbe il fare un estratto eguale nella mole a tutto ’l libro. E ciò eziandio ci fa credere che, nel compilar questo libricciuolo, abbia avuto l’autore in pensiero il darci anzi un’idea e un saggio della sua metafisica che la sua metafisica stessa, scorgendovisi specialmente cose moltissime semplicemente proposte, che sembrano aver bisogno di pruova; il che sperasi una volta di aver noi a vedere, quando e’ diaci l’opera compiuta alle stampe. Ma sopra ’l tutto desidereremmo di vedere provato ciò che a tutta l’opera è principal fondamento ed anzi singolare: donde esso raccolga che nella latina favella significhino una stessa cosa «factum» e «verum», «causa» e «?iegocium», ecc.