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I

PRIMO ARTICOLO DEL «GIORNALE DE’ LETTERATI D’ITALIA» Fine principale di questo dotto signore si è il dare a conoscere quale sia stata la filosofia degli antichi popoli dell’Italia; e, perché ciò non si può dimostrare da’ loro libri, non essendone veruno giunto a noi, donde apprendere ciò si possa, promette egli d’andarlo raccogliendo dall’origine e dal significato di vari vocaboli della latina favella. Imperciocché — dice egli nel proemio (p. 125), — postomi a considerar l’origini della lingua latina, molte voci io v’osservai cosi dotte, che certamente dall’uso del volgo essere provenute non possono, ma piú tosto da qualche dottrina intrinseca a quella nazione che le usava, non essendo inverisimile che arricchito sia un linguaggio di maniere filosofiche di dire, ogni qual volta molto siavi in uso la filosofia. Quindi è — conchiude — che gli antichi romani, essendo stati affatto d’ogni scienza sforniti infino a’ tempi di Pirro, e per altro, senza intenderne la forza del significato, essendosi serviti di vocaboli pregni di filosofici sentimenti, egli è d’uopo che altronde dalle circonvicine nazioni abbianli appresi. E queste furono quinci quelli che professavano l’italica filosofia, colá trapiantatavi insino dall’Ionia, e quindi i vecchi toscani, i quali esso pruova essere stati molto dotti in ogni sorta di scienza, e principalmente nella teologia. Anzi è fuor d’ogni dubbio che da questi ricevettero i romani, non che le cose spettanti alla religion degli dèi, ma ancora la favella e le frasi usate da’ pontefici nelle sacre cerimonie.