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ragionamento primo - capitolo terzo 289


1439E certamente egli non per altro (e crediamo d’apporci al vero) fa, solamente in questa giornata, intervenirvi Quinto Muzio Scevola, veneratissimo principe de’ giureconsulti della sua e forse di tutte l’altre etá, se non perché, essendo allora divise le professioni di giureconsulto e d’avvocato, e dovendo Marco Crasso, ch’era avvocato, non giureconsulto, ragionare d’intorno alla giurisprudenza ed alle leggi, e particolarmente contro cotal favola della legge delle XII Tavole venuta da Atene, perché, per le due borie e delle nazioni e de’ dotti, n’erano troppo comunemente i romani persuasi (che Dionigi e Livio, dovendo seguire, com’è obbligazione degli storici, le comuni persuasioni de’ popoli de’ quali scrivono, e riserbar a’ critici il giudicarne la veritá, rapportarono cotal favola nelle loro storie), acciocché ne fusse con rispetto ricevuta la riprensione, tinge esservi stato presente Quinto Muzio: il quale, se Crasso avesse detto delle leggi alcuna cosa con errore, egli ne l’arebbe senza alcun dubbio ripreso; siccome, appresso Pomponio, ne riprese questo istesso Sulpizio il quale in questi ragionamenti interviene e interloquisce, ché, non avendo inteso una sua risposta ad un dubbio di ragione che questi gli aveva proposto, gli disse quelle gravi parole: «turpe esse patricio viro ius, in quo versaretur, ignorare».

G. B. Vico - Opere, IV-ii. 19