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[CAPITOLO SECONDO]

de’ primi storici che n’hanno scritto

1433Tal è esso fatto: veniamo agli storici i quali prima di tutt’altri ne scrissero. Eglino sono due: Tito Livio e Dionigi d’Alicarnasso, i qual’entrambi vissero a’ tempi d’Augusto. De’ quali Livio scrive (reciteremo le sue parole) che «tribunorum aequandae libertatis desiderium patres non aspernabantur», e funne mandata l’ambasciaria, la qual portò in Roma le leggi. Dionigi, meglio di Livio informato, siccome colui che scrisse la sua Istoria istrutto delle memorie antiche, le quali ne serbava Marco Terenzio Varrone, comunemente acclamato «il dottissimo delle romane antichitá», scrive che, ritornata l’ambasciaria, i consoli di quell’anno, Caio Menenio e Publio Sestio, diedero mille remore e presero mille pretesti per non far comandare le leggi, e che, Sestio finalmente avendone riferito in senato, vi furono de’ senatori i quali erano di parere che si dovesse seguitar a vivere con le consuetudini e che non fusse mestieri che la cittá governassesi con le leggi. Di piú i consoli in quell’anno intimarono piú prestamente del solito le ragunanze consolari per liberarsi dalle moleste istanze de’ tribuni della plebe, e per l’anno appresso disegnarono uno de’ consoli Appio Claudio, d’una famiglia superbissima e (per dirla con esso Livio) sempre fatale a’ tribuni ed alla povera plebe (la qual, com’era nobilissima, cosí osservava il giuramento eroico, che dice Aristotile, d’esser eterna nimica a’ plebei); e che, dopo essere stati i consoli designati, Menenio e Sestio non diedero piú orecchio a’ tribuni, i quali, cosí bruttamente del loro desiderio falliti, non avevano dove voltarsi. Talché i custodi della romana libertá furono necessitati di ricorrere ad esso Appio, d’una casa (per dirla con Livio altresí) imperiosissima (finché pur finalmente giunse, presso a cinquecento anni dopo, nella persona di Tiberio Nerone, ad esser signora dell’imperio romano), e, per usare l’espressione di che esso Dionigi si serve, «gli offerirono la potenza», con la quale nell’anno appresso proruppe nella tirannide, e difatto i decemviri ne furono «diece tiranni» appellati. Queste cose sono narrate da Dionigi