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338 libro secondo - sezione settima - capo secondo


l’umanitá gentilesca, ch’erano di menti cosí singolari e precise, ch’ad ogni nuov’aria di faccia ne stimavano un’altra nuova, com’abbiam osservato nella favola di Proteo; ad ogni nuova passione stimavano un altro cuore, un altro petto, un altr’animo: onde sono quelle frasi poetiche, usate, non giá per necessitá di misure, ma per tal natura di cose umane, quali sono «ora», «vultus», «animi», «pectora», «corda», prese per gli numeri loro del meno.

701Fecero il petto stanza di tutte le passioni, a cui con giusti sensi ne sottoposero i due fomenti o principi: cioè l’irascibile nello stomaco, perocché ivi, per superare il mal che ci preme, ci si faccia sentire la bile contenuta ne’ vasi biliari, sparsi per lo ventricolo, il quale, con invigorire il suo moto peristaltico, spremendogli, la vi diffonde: — posero la concupiscibile, piú di tutt’altro, nel fegato, ch’è diffinito l’«ufficina del sangue», ch’i poeti dissero «precordi», ove Titane impastò le passioni degli altri animali, le quali fussero in ciascuna specie piú insigni; e abbozzatamente intesero che la concupiscenza è la madre di tutte le passioni e che le passioni sieno dentro de’ nostri umori.

702Richiamavano al cuore tutti i consigli, onde gli eroi «agitabant, versabant, volutabant corde curas», perché non pensavano d’intorno alle cose agibili senonsé scossi da passioni, siccome quelli ch’erano stupidi ed insensati. Quindi da’ latini «cordati» furono detti i saggi, e «vecordes» al contrario gli scempi; e le risoluzioni si dissero «sententiae», perché, come sentivano cosí giudicavano, onde i giudizi eroici erano tutti con veritá nella loro forma, quantunque spesso falsi nella materia.