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[CAPITOLO TERZO]

dell’origini del censo e dell’erario

619Ma finalmente dalle gravi usure e spesse usurpazioni ch’i nobili facevano de’ loro campi (a tal segno ch’a capo di etá Filippo, tribuno della plebe, ad alta voce gridava che duemila nobili possedevano tutti i campi che dovevan essere ripartiti tra ben trecentomila cittadini, ch’a suo tempo in Roma si noveravano), perché fin da quarantanni dopo la discacciata di Tarquinio Superbo, per la di lui morte assicurata, la nobiltá aveva ricominciato ad insolentire sopra la povera plebe; e ’l senato di que’ tempi aveva dovuto incominciar a praticar quell’ordinamento: ch’i plebei pagassero all’erario il censo, che prima privatamente avevano dovuto pagar a’ nobili, acciocché esso erario potesse somministrar loro le spese indi in poi nelle guerre; dal qual tempo comparisce di nuovo sulla storia romana il censo, ch’i nobili sdegnavano amministrare, al riferire di Livio, come cosa non convenevole alla loro degnitá (perché Livio non potè intendere ch’i nobili noi volevano, perché non era il censo ordinato da Servio Tullio, ch’era stato pianta della libertá de’ signori, il qual si pagava privatamente ad essi nobili, ingannato con tutti gli altri che ’l censo di Servio Tullio fusse stato pianta della libertá popolare: perché certamente non fu maestrato di maggior degnitá di quella di che fu la censura, e fin dal suo primo anno fu amministrato da’ consoli): cosí i nobili, per le loro avare arti medesime, vennero da se stessi a formar il censo, che poi fu pianta della popolar libertá. Talché, essendone venuti i campi tutti in loro potere, eglino a’ tempi di Filippo tribuno dovevano duemila nobili pagar il tributo per trecentomila altri cittadini ch’allora si numeravano (appunto come in Isparta era divenuto di pochi tutto il campo spartano), perché si erano descritti nell’erario i censi ch’i nobili avevano privatamente imposto a’ campi, i quali, incolti,