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272 libro secondo - sezione quinta - capo primo


celeste; ch’è parlare di vero re aristocratico. Dove poi gli stoici ficcarono il loro dogma di Giove soggetto al fato; ma Giove e gli altri dèi tennero consiglio d’intorno a tai cose degli uomini, e sí le determinarono con libera volontá. Il qual luogo qui riferito ne spiega due altri del medesimo Omero, ne’ quali con errore i politici fondano ch’Omero avesse inteso la monarchia. Uno è di Agamennone, che riprende la contumacia d’Achille; l’altro è di Ulisse, che i greci, ammutinati di ritornar alle loro case, persuade di continuare l’assedio incominciato di Troia: dicendo entrambi che «uno è ’l re», perché l’un e l’altro è detto in guerra, nella quale uno è ’l general capitano, per quella massima avvertita da Tacito ove dice: «eam esse imperandi conditionem, ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur». Del rimanente, lo stesso Omero in quanti luoghi de’ due poemi mentova eroi dá loro il perpetuo aggiunto di «re». Col quale si confá a maraviglia un luogo d’oro del Genesi, ove quanti Mosè narra discendenti d’Esaú tanti ne appella «re», o dir vogliamo capitani, che la Volgata legge «duces»; e gli ambasciadori di Pirro gli riferiscono d’aver veduto in Roma un senato di tanti re. Perché invero non si può affatto intendere in natura civile niuna cagione, per la qual i padri, in tal cangiamento di stati, avessero dovuto altro mutare, da quello ch’avevano avuto nello stato giá di natura, che di assoggettire le loro sovrane potestá famigliari ad essi ordini loro regnanti. Perché la natura de’ forti, come abbiamo nelle Degnitá sopra posto, è di rimettere, degli acquisti fatti con virtú, quanto meno essi possono, e tanto quanto bisogna perché loro si conservin gli acquisti; onde si legge si spesso sulla storia romana quell’eroico disdegno de’ forti, che mal soffre «virtute parta per fiagitium amittere». Nè, tra tutti i possibili umani, una volta che gli Stati civili non nacquero né da froda né da forza d’un solo (come abbiam sopra dimostro e si dimostrerá piú in appresso), come dalle potestá famigliari potè formarsi la civil potestá, e de’ domini naturali paterni (che noi sopra accennammo essere stati «ex iure optimo», in significato di «liberi d’ogni peso privato e pubblico») si