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della politica poetica 271


fatiga»). Per tutto ciò i famoli dovettero ammutinarsi contro essi eroi. E questa è la «necessiti», che generalmente si congetturò nelle Degnitá esser stata fatta da’ famoli ai padri eroi nello stato delle famiglie, onde nacquero le repubbliche.

584Perché quivi, al grand’uopo, dovettero per natura esser portati gli eroi ad unirsi in ordini, per resistere alle moltitudini de’ famoli sollevati, dovendo loro far capo alcun padre piú di tutti feroce e di spirito piú presente; e tali se ne dissero i «re» dal verbo «regere», ch’è propiamente «sostenere» e «dirizzare». In cotal guisa, per dirla con la frase troppo ben intesa di Pomponio giureconsulto, «rebus ipsis dictantibus, regna condita», detto convenevolmente alla dottrina della romana ragione, che stabilisce «ius naturale gentium divina providentia constitutum». Ed ecco la generazione de’ regni eroici. E, perché i padri erano sovrani re delle lor famiglie, nell’ugualitá di sí fatto stato e, per la feroce natura de’ polifemi, niuno di tutti naturalmente dovendo ceder all’altro, uscirono da se medesimi i senati regnanti, o sia di tanti re delle lor famiglie; i quali, senza umano scorgimento o consiglio, si truovaron aver uniti i loro privati interessi a ciascun loro comune, il quale si disse «patria», che, sottointesovi «res», vuol dir «interesse di padri», e i nobili se ne dissero «patricii»: onde dovettero i soli nobili esser i cittadini delle prime patrie. Cosí può esser vera la tradizione che ce n’è giunta: che ne’ primi tempi si eleggevano gli re per natura; della quale vi sono due luoghi d’oro appo Tacito, De moribus Germanorum, i quali ci danno luogo di congetturare essere stato lo stesso costume di tutti gli altri primi popoli barbari. Uno è quello: «Non casus, non fortuita conglobatio turmam aut cuneum facit, sed familiae et propinquitates». L’altro è: «Duces exemplo potius quam imperio; si prompti, si conspicui, si ante aciem agant, admiratione praesunt».

585Tali essere stati i primi re in terra ci si dimostra da ciò: che tal i poeti eroi immaginarono essere Giove in cielo re degli uomini e degli dèi, per quell’aureo luogo di Omero dove Giove si scusa con Teti ch’esso non può far nulla contro a ciò che gli dèi avevano una volta determinato nel gran consiglio