Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. I, 1928 – BEIC 1964037.djvu/231


della morale poetica 225


minati, nella quale licesse ciò che piacesse; perché, in quella ide’ poeti teologi, agli uomini, storditi ad ogni gusto di nauseante riflessione (come tuttavia osserviamo i costumi contadineschi), non piaceva se non ciò ch’era lecito, né piaceva se non ciò che giovava (la qual origine eroica han serbato i latini in quell’espressione con cui dicono «iuvat» per dir «è bello»); — nè come la si finsero i filosofi, che gli uomini leggessero in petto di Giove le leggi eterne del giusto; perché dapprima leggerono nel cospetto del cielo le leggi lor dettate da’ fulmini. E in conchiusione le virtú di tal prima etá furono come quelle che tanto sopra, nell’Annotazioni alla Tavola cronologica, udimmo lodar degli sciti, i quali ficcavano un coltello in terra e l’adoravan per dio (con che poi giustificavano gli ammazzamenti): cioè virtú per sensi, mescolate di religione ed immanitá; i quali costumi come tra loro si comportino si può tuttavia osservar nelle streghe, come nelle Degnitá si è osservato.

517Da tal prima morale della superstiziosa e fiera gentilitá venne quel costume di consagrare vittime umane agli dèi, come si ha dagli piú antichi fenici, appo i quali, quando loro sovrastava alcuna grande calamitá, come di guerra, fame, peste, gli re consagravano i loro propi figliuoli per placare l’ira celeste, come narra Filone biblio; e tal sacrifizio facevano di fanciulli ordinariamente a Saturno, al riferire di Quinto Curzio. Che, come racconta Giustino, fu conservato poi dai cartaginesi, gente senza dubbio colá pervenuta dalla Fenicia (come qui dentro si osserva), e fu da essi praticato infin agli ultimi loro tempi, come il conferma Ennio in quel verso:

Et poinei solitei sos sacruficare puellos,

i quali dopo la rotta ricevuta da Agatocle sagrificarono dugento nobili fanciulli a’ loro dèi per placarli. E co’ fenici e cartaginesi in tal costume empiamente pio convennero i greci col voto e sacrifizio che fece Agamennone della sua figliuola Ifigenia. Lo che non dee recar maraviglia a chiunque rifletta sulla

G. B. Vico - Opere, IV-i. 15