Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
200 | libro secondo - sezione seconda - capo quinto |
Acilio Glabrione quell’altra:
Fudit, fugat, prosternit maximas legiones,
ed altri altre. I frammenti della legge delle XII Tavole, se bene vi si rifletta, nella piú parte de’ suoi capi va[nno] a terminar in versi adoni, che sono ultimi ritagli di versi eroici; lo che Cicerone dovette imitare nelle sue Leggi, le quali cosí incominciano:
Deos caste adeunto. |
Onde, al riferire del medesimo, dovette venire quel costume romano: ch’i tanciulli, per dirla con le di lui parole, «tanquam necessarium carmen», andavano cantando essa legge; non altrimenti che Ebano narra che facevano i fanciulli cretesi. Perché certamente Cicerone, famoso ritruovatore del numero prosaico appresso i latini, come Gorgia leontino lo era stato tra’ greci (lo che sopra si è riflettuto), doveva schifare nella prosa, e prosa di si grave argomento, nonché versi cosí sonori, anche i giambici (i quali tanto la prosa somigliano), da’ quali si guardò scrivendo anco lettere famigliari. Onde di tal spezie di verso bisogna che sieno vere quelle volgari tradizioni: delle quali la prima è appresso Platone, la qual dice che le leggi degli egizi furono poemi della dea Iside; la seconda è appresso Plutarco, la qual narra che Ligurgo diede agli spartani in verso le leggi, a’ quali con una particolar legge aveva proibito saper di lettera; la terza è appo Massimo tirio, la qual racconta Giove aver dato a Minosse le leggi in verso; la quarta ed ultima è riferita da Suida, che Dragone dettò in verso le leggi agli ateniesi, il quale pur volgarmente ci vien narrato averle scritte col sangue.
470Ora, ritornando dalle leggi alle storie, riferisce Tacito ne’ Costumi de’ Germani antichi che da quelli si conservavano conceputi in versi i principi della loro storia; e quivi Lipsio, nelle Annotazioni, riferisce il medesimo degli americani. Le quali