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[CAPITOLO PRIMO]

DELLA SAPIENZA GENERALMENTE

364Ora, innanzi di ragionare della sapienza poetica, ci fa mestieri di vedere generalmente che cosa sia essa sapienza. Ella è «sapienza» la facultá che comanda a tutte le discipline, dalle quali s’apprendono tutte le scienze e l’arti che compiono l’umanitá. Platone diffinisce la sapienza esser «la perfezionatrice dell’uomo». Egli è l’uomo non altro, nel propio esser d’uomo, che mente ed animo, o vogliam dire intelletto e volontá. La sapienza dee compier all’uomo entrambe queste due parti, e la seconda in séguito della prima, acciocché dalla mente illuminata con la cognizione delle cose altissime l’animo s’induca all’elezione delle cose ottime. Le cose altissime in quest’universo son quelle che s’intendono e si ragionan di Dio; le cose ottime son quelle che riguardano il bene di tutto il gener umano: quelle «divine», e queste si dicono «umane cose». Adunque la vera sapienza deve la cognizione delle divine cose insegnare per condurre a sommo bene le cose umane. Crediamo che Marco Terenzio Varrone, il quale meritò il titolo di «dottissimo de’ romani», su questa pianta avesse innalzata la sua grand’opera Rerum divinarum et humanarum, della quale l’ingiuria del tempo ci fa sentire la gran mancanza. Noi in questo libro ne trattiamo secondo la debolezza della nostra dottrina e scarsezza della nostra erudizione.

365La sapienza tra’ gentili cominciò dalla musa, la qual è da Omero in un luogo d’oro dell’Odissea diffinita «scienza del bene e del male», la qual poi fu detta «divinazione»; sul cui natural divieto, perché di cosa naturalmente niegata agli uomini, Iddio fondò la vera religione agli ebrei, onde uscí la nostra de’ cristiani, come se n’è proposta una degnitá. Sicché la musa dovett’essere propiamente dapprima la scienza in divinitá