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sinopsi del diritto universale 7


e gli altri divini. Come andò a roverscio la faccenda nel mondo incolto: che Orfeo alle fiere, Anfione ai sassi cantassero la natura e ’l poter degli dèi, onde gli ammansirono ed unirono nelle cittá?

3. I fanciulli intendono i soli particolari; onde gli piú ingegnosi non si sanno spiegare che per simiglianze. Come, nella puerizia del mondo, tutto ad un colpo vi furono uomini che intesero le republiche, che sono gli universali de’ commodi umani?

Per tutto ciò pruova che l’origine della poesia non fu né ’l piacere né ’l commodo, ma la necessitá la quale ebbero i primi padri d’insegnare a’ figliuoli gli essempli degli antenati. E le genti umane, perché ingegnose, in quella povertá delle lingue, a guisa d’ingegnosi fanciulli, invece di generi, de’ quali erano incapaci, dalla natura eran portati a formare imagini, le quali sono i primi caratteri delle lingue, onde poi le lettere «caratteri» furono dette. E tali furono le favole a’ greci, per essemplo, quali i ieroglifici agli egizi. E, perché i figliuoli, non vi essendo ancora la scrittura, gli ritenessero piú facilmente a memoria chiusi dentro certe misure di parole, [i padri] le dicevan loro cantando1.

Scoverta questa origine della poesia, la teologia de’ poeti non dev’essere punto la naturale, ma la civile; e, sì, la mitologia deve spiegare le favole con questo aspetto, talché il tempo favoloso non sia altro dal tempo oscuro, ma la storia di quello, e questa doverci dare i principi del tempo istorico. A questa meditazione accompagnando le seguenti cose, pur certe:

1. La prima cittá che si mentova in tutta l’istoria profana è Cuma, posta in Italia2.

  1. Ciò si è emendato nel corso dell’opera al capitolo XII (Dell’origine della poesia), al libro II, parte II, dove si pruova che, non la riflessione, ma la natura portò i primi uomini al canto, quando cominciarono a fondare romanitá: onde poi avvenne che, non vi essendo la scrittura, i posteri col canto conservassero a memoria le cose degli antenati [nota manoscritta del Vico].
  2. Ciò sta pienamente pruovato nel libro II, parte II, capitolo IV e nelle Notae [nota manoscritta del Vico].