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ciose, ch’io le deluderei le più volte; se non che il troppo poterlo fare, e la loro misera condizione me ne sconforta.
Vedi! — Vedi sono tuo servo1 — mi disarma a un tratto dell’autorità di padrone —
— Va’ pure, La Fleur, gli diss’io.
— Ma, La Fleur! e che innamorata hai tu potuto beccarti in sì pochi giorni in Parigi? — La Fleur si mise una mano sul petto, e disse: Ch’era una petite demoiselle di casa di monsieur le comte de B*** — La Fleur era bello e nato per la società; e per non frodarlo del suo merito, dirò, ch’egli in ciò somigliava al suo padrone, nè si lasciava scappar mai le occasioni — onde per un verso o per l’altro — ma il come — sappialo Dio — egli, quando andai pel mio passaporto, s’era dimesticato con una demoiselle sul ripiano dello scalone presso la soglia dell’appartamento; e mentr’io attendeva a farmi benevolo il conte, La Fleur si giovò del tempo a farsi benevola la fanciulla. La famiglia doveva quel giorno venire in Parigi, e credo ch’egli avesse concertata già la brigata con essa e con due o tre altri di casa B*** su i boulevarts.
- ↑ Ecce — quia servi sumus et in servitute. Esdrae lib. i. c. 9. 9.