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XLI. | IL CARCERATO |
parigi
L’uccello in gabbia mi perseguitava nella mia camera: m’assisi presso al tavolino; e sostenendomi il capo con una mano, mi posi a rappresentarmi le miserie della prigione. L’anima contristata lasciò libero campo alla fantasia.
E principiai da tanti milioni di creature tutte mio prossimo, e tutte nate con l’unico patrimonio della schiavitù. Ma per quanto il quadro fosse compassionevole, m’avvidi ch’io non poteva ravvicinarmelo, e che sarei sopraffatto e distratto dalla folla di que’ tristissimi gruppi.
— Mi tolsi un prigione solo; e serrato ch’io l’ebbi dentro il suo carcere, m’apparecchiai a farne il ritratto, osservandolo dal pertugio della sua porta inferrata.
Vidi il suo corpo macerato dall’aspettar lungo e dalla prigionia; ed io sentii quella malattia di cuore che nasce dalla speranza protratta. E accostandomi con la pupilla più attenta, lo vidi macilente e febbricitante — da più dì trent’anni l’aura occidentale non rinfrescò mai le sue vene — non aveva veduto nè sole nè luna da più di trent’anni