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ra e di verità, che in un batter d’occhio disperse tutti i miei sistematici sillogismi su la Bastiglia. Io risaliva quasi a stento le scale, e fermandomi, per disdirmi d’ogni parola da me proferita scendendole.
Tu puoi condirti a tua posta, o indolente SERVAGGIO! io diceva — tu sei pur sempre un calice amaro; e sebbene i mortali nascano di generazione in generazione a migliaja per tracannarti, tu non per tanto non sei men amaro — Te! — Te, o tre volte dolce e graziosa Dea! — Te o LIBERTÀ! invocano tutti con solenni e con domestiche supplicazioni, Te che hai sapore gradito, e l’avrai finchè NATURA non rinneghi se stessa — nè orpello mai di parole potrà contaminare il tuo candido manto, nè forza d’alchimia tramuterà in ferro il tuo scettro — Teco, e se tu gli sorridi, ment’eiFonte/commento: 274 mangia il suo pane, il pastore è più beato del suo monarca dalla corte del quale tu se’ sbandita — Dio misericordioso! esclamai inginocchiandomi sul penultimo gradino salendo — Dispensatore dell’universo! concedimi solamente la sanità; lasciami per unica mia compagna quest’amabile Dea! — piovano poi le tue mitre, se così parrà bene alla tua divina provvidenza, su quelle teste che si curvano di languore aspettandole.