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specie, i quali non hanno gagliardìa nè presenza da farsi largo nel mondo. Nè potrei veder soverchiato veruno d’essi, e non risentirmene. Ma non sì tosto m’assisi accanto al vecchio ufficiale, seguì sotto al nostro palchetto una scena che esercitò il mio naturale risentimento.

Havvi a capo dell’orchestra, tra l’orchestra e il primo ordine de’ palchetti, una piazzetta riserbata, dove quando il teatro è affollato molte persone d’ogni grado vi si ricovrano, standosi ritti come nel parterre, e pagando come se sedessero nell’orchestra. Un povero animaletto inerme della classe pigmea fu, non so come, travolto in quel tristissimo asilo — era una sera d’estate, ed egli si stava attorniato d’animali due piedi e mezzo più alti di lui, e indicibilmente, dovunque ei si volgesse, angustiato. Ma la sua maggiore tribolazione era il gran corpo d’un tedesco da sei in sette piedi, il quale si frapponeva direttamente tra il nano ed ogni possibilità di mandare un occhiata alla scena e agli attori. Industriavasi il meschinello alla meglio per poter esplorare le cose alle quali egli sapeva d’essere presente, e mendicava qualche spiraglio tra il braccio e il torso di quel tedesco provandosi or da un lato, or dall’altro: ma quel tedesco s’era piantato tutto d’un